21.05.2025

LA MORTE DI HAMID BADOUI IMPONE RISPOSTE

Il comunicato congiunto della Commissione Carcere e Sorveglianza e del Consiglio Direttivo della Camera Penale “Vittorio Chiusano”

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Ancora una volta, a Torino, una storia di abbandono e di giustizia che si ritorce contro chi la invoca: la vicenda di Hamid Badoui, morto suicida nel carcere Lorusso e Cutugno a poche ore dall’ingresso nella sezione ‘nuovi giunti’, ricorda quella di Moussa Balde, il giovane di 23 anni, originario della Guinea, che a maggio del 2021 si tolse la vita all’interno dell’‘ospedaletto’ (il reparto di isolamento sanitario chiuso a seguito di questa vicenda) del CPR di Torino.

Moussa Balde era stato portato e trattenuto nel CPR torinese dopo aver subito un violento pestaggio da parte di tre giovani italiani perché la polizia di Ventimiglia ne aveva accertato l’irregolare presenza sul territorio italiano: anziché provvedere a rendergli le cure di cui aveva bisogno e metterlo al corrente dei suoi diritti di persona offesa, si è dato esclusivo rilievo alla sua posizione di migrante irregolare e da vittima di un pestaggio il giovane si è ritrovato ad essere recluso e isolato in un reparto che di sanitario aveva soltanto il nome.

Anche Hamid Badoui era un migrante, originario del Marocco: anche lui ha vissuto l’esperienza della detenzione nel CPR e gli è toccata quella più drammatica e brutale. All’uscita dal carcere di Torino, dove, come riporta il Gruppo Abele che lo seguiva, si era disintossicato e aveva conseguito con orgoglio il diploma di un istituto tecnico, intenzionato a cambiare del tutto la propria vita, era stato condotto prima nel CPR di Brindisi e da lì deportato nel centro di Gijader, in Albania, perché privo del permesso di soggiorno. Era tra quelli che hanno sperimentato la versione del centro come CPR che ha sostituito l’originaria e fallimentare destinazione di luogo di trattenimento per le procedure accelerate di esame delle richieste di protezione internazionale: testimonianza viva, finché ha retto, delle condizioni di quel luogo di detenzione, da cui sono impediti tutti i contatti, un buco nero peggiore della galera, come ha riferito agli europarlamentari che l’hanno incontrato durante una visita.

Secondo quanto apprendiamo dagli organi di informazione, rimesso in libertà dopo 48 giorni di restrizione, grazie all’ordinanza del Giudice di pace di Roma che ha sospeso il trattenimento in attesa della pronuncia della Corte costituzionale sulla legittimità delle detenzioni in Albania, sabato scorso è arrivato a Torino, stremato da quell’esperienza detentiva, ed è andato a casa della sorella, cittadina italiana, che l’avrebbe ospitato. Nel pomeriggio stesso ha subito una truffa o un furto, perdendo i soldi che aveva o la SIM appena acquistata: ha chiamato la polizia perché intervenisse a catturare chi l’aveva derubato.

Una richiesta d’aiuto rivolta in uno stato di estrema esasperazione, come testimoniato dal video sull’arresto pubblicato dal quotidiano Torino Cronaca[1] che si è conclusa con l’arresto di Hamid Badoui per resistenza e violenza a pubblico ufficiale.

Nonostante avesse la disponibilità del domicilio della sorella, è stato condotto in carcere in attesa dell’udienza di convalida dell’arresto con il rito direttissimo che si sarebbe tenuta lunedì mattina. A quell’udienza Hamid Badoui non è mai arrivato perché nella notte tra domenica e lunedì si è tolto la vita impiccandosi.

Per quanto di fronte a ogni atto suicidario non si possano definire le ragioni senza mancare del doveroso rispetto verso decisioni così intime e drammatiche, le ultime esperienze di vita di Hamid Badoui indirizzano a ritenere che, rientrato in carcere dopo mesi di detenzione amministrativa e con la prospettiva di tornare in un CPR e, peggio ancora, nell’incubo di quello albanese, l’abbiano portato a sentire di essere ricaduto in un buco nero senza vie d’uscita.

Questa morte allunga il tragico conto dei suicidi in carcere che sono arrivati a 31 dall’inizio dell’anno, uno ogni circa 4 giorni: un fenomeno vergognoso per la civiltà del Paese, che si riproduce nella stessa gravissima entità da due anni, di fronte al quale chi ha responsabilità di governo non ha ancora nemmeno delineato soluzioni praticabili ed efficaci, a cominciare dalla deflazione della densità della popolazione detenuta che consentirebbe agli operatori penitenziari di porre l’attenzione necessaria alle fragilità e ai bisogni delle persone ristrette.

La storia di Hamid Badoui, come quella di Moussa Balde, pone però seri interrogativi sulle modalità con le quali i soggetti più fragili ed emarginati, anche in ragione del loro essere migranti formalmente irregolari, siano considerati e trattati dai rappresentanti dello Stato nel momento in cui rivolgono loro richieste d’aiuto.

Insieme a questi interrogativi, s’impone la riflessione sull’abbandono da parte delle Istituzioni delle persone più bisognose d’ascolto e di cura, quando sono consegnate in custodia alle mani dello Stato.

E proprio nell’ambito di questa riflessione si collocano le domande che ci procurano maggiori perplessità e che impongono risposte.

Ci chiediamo, innanzitutto, per quale ragione non si sia osservata, in questo caso, la norma processuale introdotta proprio per evitare un impatto inutile con la dimensione carceraria, la cui negatività incide sia sulla persona arrestata, sia sull’organizzazione penitenziaria: quel sostanziale divieto delle ‘sliding doors’, cioè del fenomeno di ingressi in carcere per il breve tempo che corre tra l’arresto e la direttissima, che consiste nell’obbligo di condurre l’arrestato o al domicilio o nelle camere di sicurezza delle Forze di polizia.

Ci chiediamo se sia stata accertata dagli operanti della Polizia la disponibilità di un domicilio, considerato che la sorella di Hamid Badoui era presente nel momento in cui è stato arrestato e che lui si trovava già a casa sua da quando in mattinata era arrivato a Torino, o quali siano le ragioni per cui non è stata tenuta in considerazione tale disponibilità o, peggio ancora, se l’accertamento non sia stato condotto per nulla, dando per scontato che non l’avesse, vista la sua posizione di straniero con permesso di soggiorno scaduto.

Ci chiediamo ancora se, in alternativa, mancasse ogni disponibilità di camere di sicurezza per la polizia giudiziaria che ha eseguito l’arresto o se sussistessero e quali specifiche ragioni di necessità e di urgenza impeditive della custodia nelle strutture delle Forze dell’ordine: ci chiediamo, cioè, se ricorressero e quali, le sole condizioni che legittimano l’invio in carcere.

E, infine, ci chiediamo con quali modalità e attenzioni sia stata condotta la visita medica di ingresso in carcere, disciplinata in termini dettagliati dal comma 7 dell’art.11 L.354/75, e come sia stato possibile che non venisse rilevato il particolare stato di sofferenza e di prostrazione di una persona con il recente vissuto di Hamid Badoui e, di conseguenza, venisse assegnata a una cella del reparto ‘nuovi giunti’, da sola, senza alcuna vigilanza particolare che non fosse il passaggio periodico dell’agente di guardia.

A queste domande intendiamo ricercare le risposte, attraverso l’interlocuzione diretta con il Capo della Procura della Repubblica di Torino, sia per comprendere quali siano i presupposti effettivi o gli automatismi che nella città di Torino aprono le porte del carcere anziché quelle del domicilio o delle camere di sicurezza, sicuramente più sorvegliate e protette di una cella nel reparto ‘nuovi giunti’ del Lorusso e Cutugno, sovraffollato al 130% e in nota sofferenza di organico del personale di polizia penitenziaria, sia per avere assicurazioni sull’indipendenza dell’indagine in corso su questa dolorosa, tragica ed ennesima morte in carcere.

 

Torino, 21 maggio 2025

 

La Commissione “Carcere e Sorveglianza” – Il Consiglio Direttivo

[1] https://torinocronaca.it/news/cronaca/512781/si-toglie-la-vita-in-carcere-aperta-un- inchiesta-e-spunta-il-video-dell-arresto.html